Nuova ricerca svela che i cani distinguono le parole apprese da quelle nuove
Si tratta di uno studio, pubblicato nella rivista specializzata “Frontiers in Neuroscience” e condotto da un gruppo di ricercatori del Department of Psychology della Emory University, della Psychology del New College of Florida, e della Comprehensive Pet Therapy ad Atlanta.
I ricercatori hanno studiato un gruppo di 12 cani ben addestrati per capire il funzionamento neurale in base a parole note e parole sconosciute.
E’ emerso che i cani hanno una rappresentazione detta “rudimentale” del significato delle parole che hanno appreso. Differenziando le parole conosciute da quelle che non hanno mai sentito prima.
Ad alcuni cani è stata pronunciata la parola scoiattolo, insegnata dal padrone. In reazione alla parola, i cani hanno iniziato ad agitarsi e a ravvivarsi. In alcuni casi sono andati alla finestra per guardare fuori.
La domanda che si sono chiesti i ricercatori è se il cane reagisce in quel modo per un’allerta, rispondendo ad un “fai attenzione”. Oppure se il cane ha una rappresentazione visiva dello scoiattolo associata alla parola appresa.
“Molti proprietari di cani pensano che i loro cani sappiano cosa significano alcune parole, ma non ci sono molte prove scientifiche che sostengono questa tesi”. Dichiara uno degli autori dello studio Ashley Prichard, dottorando presso il dipartimento di psicologia della Emory University.
Ecco perché, per gli scienziati era importante dimostrare questi elementi.
Quello che premeva agli studiosi era distinguere il comando verbale dalla gestualità o lo sguardo delle persone.
“Sappiamo che i cani hanno la capacità di elaborare alcuni aspetti del linguaggio umano poiché possono imparare a seguire i comandi verbali”. Ricorda il neuroscienziato Gregory Berns, fondatore del Progetto Dog. Berns è stato il primo ricercatore ad addestrare i cani a entrare volontariamente in uno scanner funzionale a risonanza magnetica (fMRI) e a rimanere immobili durante la scansione, senza costrizioni o sedazione.
Tuttavia, sottolinea Berns, “alcune ricerche hanno suggerito che i cani potevano avvalersi anche di altri segnali per sostenere il comando verbale, come lo sguardo, il gesto o persino le espressioni emotive dei padroni”.
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L’intento dei ricercatori è stato dunque quello di capire se il cane capisce la parola e l’associa a qualcosa. Infine, se il cane è capace di distinguere le parole apprese da quelle nuove e il significato della parola per il cane.
I ricercatori si sono pertanto concentrati sui meccanismi cerebrali utilizzati dai cani per distinguere le parole e quello che significa una parola per il cane.
Per questo, i cani sono stati analizzati con lo scanner Fmri che scansione le attività cerebrali. In questo modo, i ricercatori potevano osservare i meccanismi neurali dei cani attivati per distinguere le parole.
I ricercatori hanno preso in esame, 12 cani di diverse razze, addestrati durante diversi mesi dai proprietari. I cani dovevano recuperare due oggetti diversi, in base ai nomi degli oggetti.
Gli oggetti sottoposti ai cani erano un peluche e un oggetto di materiale diverso, in gomma, per facilitare la distinzione.
L’addestramento consisteva nell’istruire i cani a prendere uno degli oggetti e poi premiarli con cibo o lode. L’addestramento è stato considerato completo quando il cane ha dimostrato di poter distinguere tra i due oggetti recuperando sempre quello richiesto dal proprietario.
Successivamente, i ricercatori hanno scansionato l’attività cerebrale dei cani.
Il cane era seduto sotto allo scanner fmri mentre il proprietario era di fronte a lui e pronunciava i nomi degli oggetti, ad intervalli regolari, mostrando al cane il giocattolo corrispondente.
Nel primo esperimento, ad uno dei cani nome Eddie, un incrocio con un golden retriever, sono stati pronunciate le parole “piggy” o “monkey”, mentre il padrone sollevava al contempo gli oggetti corrispondenti.
In un secondo esperimento, il padrone ha pronunciato due parole senza senso, come “bobbu” e “bodmick”, mostrando al cane diversi oggetti come un cappello o una bambola.
E’ emerso che vi è stata una maggiore attivazione nelle regioni uditive del cervello per le parole inventate rispetto alle parole apprese.
“Ci aspettavamo di vedere che i cani avrebbero fatto una distinzione a livello neurologico tra le parole che conoscono e le parole che non sanno. Quello che ci ha sorpreso è il risultato opposto rispetto alle reazioni umani. Ovvero, in generale, le persone hanno una maggiore attivazione neurale per le parole conosciute rispetto alle parole nuove”. Ha dichiarato la Prichard.
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Secondo le conclusioni ipotizzate dai ricercatori, i cani farebbero attenzione ad una nuova parola perché pensano che i padroni vogliono cercare di far capire loro qualcosa. Ovvero, il cane pensa che il padrone vuole spiegargli qualcosa e prestano attenzione.
“I cani vogliono solo piacere ai loro proprietari, e forse anche ricevere lodi o cibo”, sottolinea Berns.
Tuttavia, i risultati dello studio evidenziano anche quanto i cani vogliono interagire con il padrone e accontentarlo.
Dai dati, è emerso che nella metà dei cani osservati vi è stato un aumento dell’attivazione per le nuove parole nella corteccia parietotemporale, un’area del cervello che i ricercatori ritengono possa essere analoga al giro angolare negli umani, dove elaboriamo le differenze lessicali.
L’altra metà dei cani, tuttavia, ha mostrato un’attività intensificata a parole nuove in altre regioni del cervello, comprese le altre parti della corteccia temporale sinistra e l’amigdala, il nucleo caudato e il talamo.
Secondo i ricercatori, queste divergenze potrebbero essere spiegate dalla differenze tra le razze prese in esame e in base alle loro dimensioni. Ci potrebbero essere delle variazioni cognitive.
Infatti, per i ricercatori, una delle sfide più importanti nella mappatura dei processi cognitivi del cervello dei cani, è la varietà di forme e dimensioni del cervello dei cani in base alle razze.
“I cani possono avere capacità e motivazione diverse per apprendere e comprendere le parole umane. Ma sembrano avere una rappresentazione neurale del significato delle parole che sono state insegnate, al di là solo di una risposta pavloviana (riflesso condizionato, ndr) di basso livello”. Precisa Berns.
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Lo studio non vuole dimostrare che le parole siano il modo più efficace per comunicare con un cane.
Prichard e Berns hanno infatti condotto altri studi nei quali hanno dimostrato che la ricompensa neurale nei cani è più in sintonia con gli stimoli visivi e olfattivi che con quelli verbali.
“Quando le persone vogliono insegnare al loro cane un trucco, usano spesso un comando verbale perché è quello che preferiamo noi umani. Dal punto di vista del cane, tuttavia, un comando visivo potrebbe essere più efficace, per aiutare il cane a imparare il trucco”. Afferma Prichard.
Consulta la ricerca in inglese: Awake fMRI Reveals Brain Regions for Novel Word Detection in Dogs
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C.D.
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