Uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Nottingham ha evidenziato i pericoli degli agenti chimici presenti negli alimenti confezionati che potrebbero danneggiare la fertilità dei cani e degli umani.
Secondo i ricercatori vi sarebbe un nesso tra i prodotti chimici e il calo registrato del numero di spermatozoi nelle due specie. Emerge che solo il 25% dei giovani uomini ha una buona qualità mentre il volume medio dello sperma sarebbe diminuito di un quarto rispetto al 1940.
Lo stesso problema si sta verificando nei cani, per cui si registra un calo del 35% degli spermatozoi dal 1988. Nei test sugli alimenti sono emersi livelli di sostanze chimiche noti per interferire con gli ormoni. Tra questi vi sono prodotti chimici impiegati per gli involucri di plastica, da quelli ininfiammabili ai coloranti, che finiscono nella catena alimentare.
Al momento, i ricercatori hanno espresso cautela per quanto riguardo il nesso con l’infertilità, tuttavia, hanno invitato le aziende a rivedere i loro processi di produzione e confezionamento, limitando l’utilizzo di sostanze chimiche.
Richard Lea, lettore di biologia riproduttiva presso l’università della Facoltà di Medicina Veterinaria e Scienze, a capo della ricerca ha guidato la ricerca, ha dichiarato che “questa è la prima volta che si registra un calo della fertilità nei cani maschi e crediamo che sia dovuto a contaminanti ambientali, alcuni dei quali identificati negli alimenti e nello sperma e testicoli degli animali stessi. Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per dimostrare un nesso, il cane può essere una sentinella per l’uomo, in quanto condivide lo stesso ambiente, mostra la stessa gamma di malattie, in molti casi con la stessa frequenza e risponde in modo simile alle terapie”.
Inoltre, come riporta il quotidiano telegraph.co.uk, la ricerca ha anche notato che i cuccioli maschi nati da padri con una bassa qualità di sperma sono più inclini a criptorchidismo, ovvero quando i testicoli non riescono a scendere correttamente nello scroto.
Darren Griffin, Professore di Genetica all’Università di Kent, ha lanciato l’allarme, sostenendo che “il nesso con le sostanze chimiche ambientali, è certamente da mettere sulla watch list“.