In alcuni casi affidare il cane ad un terzo può costituire reato di abbandono: ecco che cosa ha stabilito la Corte di Cassazione.
Ogni anno migliaia di animali domestici vengono abbandonati nelle strade del nostro paese. L’abbandono di animali è un odioso crimine, perpetrato nei confronti di chi non può difendersi e non ha voce per raccontare il sopruso subito. Recentemente, la Cassazione ha stabilito che affidare il cane ad un terzo può costituire reato di abbandono. Ecco in quali casi.
Il divieto di abbandono è stato uno dei primi principi, insieme al divieto di crudeltà ed atti di maltrattamento, ad affermarsi nella legislazione predisposta in tutela degli animali.
La Legge quadro 281/1991 (in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo) condannava moralmente tali atti ignominiosi, promuovendo allo stesso tempo la tutela e la cura del loro benessere.
Più tardi, la legislazione si è adeguata alla accresciuta sensibilità verso gli animali anche in ambito penale: con la Legge n. 189 del 2004 sono stati introdotti, tra gli altri, il reato di abbandono e di maltrattamento di animali.
Il primo, previsto e punito dall’art. 727 c.p., punisce chiunque abbandoni l’animale domestico (o che abbia acquisito le abitudini della cattività), con l’arresto fino ad un anno, o con una multa che giunge fino a 10.000 euro.
Si tratta di una sanzione notevole, almeno per ciò che concerne il profilo patrimoniale, ma che tuttavia non è ancora sufficiente a debellare questo odioso fenomeno, base di un’altra piaga sociale in tema di animali, ovvero quella del randagismo.
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La Cassazione periodicamente aggiorna il concetto di reato di abbandono di animali. D’altronde i casi che arrivano al giudizio degli ermellini sono molteplici e non è possibile determinare a priori, e in astratto, tutte le condotte passibili di punizione.
Siamo soliti pensare al reato di abbandono di animali in maniera stereotipata: il cane legato per mezzo di una catena al guardrail di un’autostrada, impossibilitato ad inseguire l’auto di chi sembrava avesse a cuore, fino a quel momento, le sue sorti.
Ma l’abbandono non si configura soltanto in tali ipotesi: la Cassazione, ad esempio, aveva stabilito che il proprietario che non si attivi concretamente per la ricerca dell’animale smarrito (o fuggito), è colpevole del reato.
In questo caso, dunque, non vi è alcun comportamento attivo del colpevole: non si tratta di un soggetto che carica il cane in macchina, lo trasporta lontano (affinché non riesca a trovare la strada di casa) e lo abbandona sul ciglio della strada.
Ciò che viene punita è l’inerzia, consistente in un disinteresse verso le sorti dell’animale. Più recentemente la Corte di Cassazione ha aggiunto un ulteriore tassello al mosaico che definisce la condotta criminosa: affidare il cane in alcuni può costituire reato di abbandono.
Ad esempio laddove decidiamo di affidare il cane a qualcuno che sappiamo non potrà occuparsene o non lo potrà fare in maniera adeguata e consona alle esigenze etologiche dell’animale.
Il caso sottoposto alla suprema Corte è il seguente: una donna di Ivrea, partente per le vacanze estive, aveva deciso di affidare i propri animali domestici (due cani e un gatto) ad una conoscente.
Quando quest’ultima era venuto meno al proprio impegno, non potendo più onorarlo, la donna si era rivolta ai proprio figli minorenni; costoro accudivano a giorni alterni gli animali della colpevole.
Risultato? Causa la scarsa esperienza dei propri figli nell’accudire gli animali, coniugata ad un’opera discontinua (a giorni alterni), cani e gatti venivano a trovarsi in condizioni di scarsa igiene, lesiva del loro benessere psicofisico.
Alla donna veniva applicata una multa pari a 3.000 euro. Dunque, da oggi in poi, è bene fare attenzione a chi affidare il cane (e gli altri animali), perché potremmo incorrere nel reato di abbandono.
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Antonio Scaramozza
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