Non solo gli elefanti vengono sfruttati nei paesi asiatici per lavori pesanti. Recentemente è stato denunciato un nuovo fenomeno nel quale in particolare a Sumatra, nei mercati come Sungai-Sariak a Pariaman ad Ovest dell’Indonesia, esemplari di scimmie macachi vengono venduti per essere ridotte in schiavitù e impiegate nelle aziende di raccolta del cocco.
Secondo quanto ha denunciato lo Sportello dei diritti degli animali, ogni scimmia può valere dai 7,50 ai 44,50 franchi, in base alla sua intelligenza.
Si tratta di un tipo di primate molto apprezzato e sfruttato per la sua capacità d’apprendimento, ma le condizioni in cui vengono trattati sono sconcertanti. Infatti, le scimmie vengono separate dai loro simili, incatenate per evitare che scappino e ridotte in schiavitù dagli agricoltori di cocco. Dopo una prima fase di duro addestramento, i piccoli macachi sono sottoposti ad interminabili giornate di lavoro e in caso di disobbedienza vengono puniti anche a frustate.
Lo sportello diritti degli animali ha pertanto lanciato un appello affinché non siano acquistati prodotti realizzati sfruttando gli animali, ricordando che si tratta di una catena di cui fa parte anche il consumatore che è responsabile sociale e che pertanto non deve essere complice di questo fenomeno.
In Italia, la Corte di Cassazione penale ha evidenziato come con l’introduzione dell’art. 544 ter nel codice penale, gli animali devono essere tutelati come esseri viventi, non solo come proprietà di qualcuno. Le pene previste dall’art. 638 inserito tra i reati contro il patrimonio sono state pertanto aumentate.
In Asia, in particolare in Thailandia, è consuetudine schiavizzare gli animali come forza lavoro nell’agricoltura del paese.
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