Un grave rischio per tutti o forse no? Perché le microplastiche sono in tutti gli animali marini tranne uno: chi è il ‘fortunato’ e perché.
Le campagne di sensibilizzazione sull’argomento non sembrano ancora dare i risultati sperati, perché si riversano ancora troppi rifiuti plastici nelle acque dei nostri mari: gran parte di esse, come vedremo, derivano proprio dalle attività di pesca e marittime ma anche noi bagnanti sembriamo non farci troppa attenzione nello smaltimento corretto di questi prodotti. Il risultato è che le microplastiche sono in tutti gli animali marini tranne uno: scopriamo chi è e come si è ‘salvato’.
Il 18% delle plastiche nelle acque dei mari arriva dall’attività marittima di pesca: gli operatori infatti sono soliti ‘abbandonare’ strumenti come funi, trappole e reti, direttamente lì dove pescano. Secondo una stima della sezione ambientale delle Nazioni Unite, la quantità di plastica nel Mediterraneo è circa 730 tonnellate al giorno. le microplastiche possono essere già presenti negli scarichi di acqua provenienti non solo dalle industrie ma anche dalle case.
Tutti questi rifiuti si depositano soprattutto sul fondo, tra i 200 e i 600 metri di profondità. La tipologia più frequente nelle acque è sicuramente il PET ma anche poliammide e policarbonato: sono tutti materiali che si utilizzano per fabbricare le bottiglie e i contenitori di uso comune. Non a caso la nostra epoca è stata ribattezzata ‘Plasticene’, ovvero Era della Plastica che, quando non è smaltita in modo corretto, inizia il suo lungo viaggio verso il mare per anni; durante questo tempo la plastica si disintegra fino a trasformarsi in pezzi piccolissimi, micro appunto. La situazione risulta ancora più grave perché le dannose conseguenze delle microplastiche sugli animali sono state sottovalutate per anni.
Un team di ricercatori dell’Università di Pernambuco ha condotto dei test sugli animali marini, ottenendo un ampio campione di meiofauna brasiliana composta da una grande varietà di organismi e ha fatto una scoperta sconvolgente: i tardigradi, ovvero quegli invertebrati che vivono su muschi e licheni bagnati, sono praticamente immuni alle microplastiche.
La loro invidiabile resistenza e capacità di sopravvivenza, sono infatti in grado di ‘superare’ brillantemente situazioni critiche che riguardano ad esempio la mancanza di acqua, radiazioni, sbalzi di temperatura e anche alle microplastiche per un lungo periodo. L’esperimento è stato condotto dunque con delle microplastiche fluorescenti che, una volta ingerite dagli animali presi in esame e messi in un contenitore, si sarebbero viste.
Per questo è stato chiaro fin da subito che i tardigradi, a differenza degli altri organismi analizzati, non avevano ingerito le microplastiche come invece avevano fatto tutti gli altri organismi marini. Ma la domanda spontanea è: come ci sono riusciti?
Se vuoi saperne di più, leggi il nostro approfondimento sul tema>>> Plasticosi: la nuova malattia che colpisce gli uccelli marini
Non si tratta certo di magia bensì la capacità di questi organismi di sopravvivere alle avversità ambientali è stata palese anche in questo caso: infatti sono due le ‘armi’ che hanno concesso loro di non essere ‘inquinati’ da questi materiali, ovvero la conformazione fisica stessa e la loro alimentazione. Il loro apparato digerente nella prima parte è composto dall’apparato perforante e succhiante, a sua volta formato dal tubo boccale e dall’organo succhiatore.
Grazie a questo sistema di ‘succhiare’ la preda, i tardigradi non non riescono mai a mangiare per intero una preda ed è proprio questa ‘incapacità di mangiarle tutte che li rende immuni dalle microplastiche, poiché non riescono a ingerirle. Ciò non vuol dire che però questi materiali non li ‘attacchino’ comune: infatti sono state trovate tracce di essi sulla superficie del loro corpo.
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