Ci sono numerose immagini che documentano l’orrore della mattanza dei delfini nella Baia di Taiji, in Giappone, raccolte dagli attivisti di Sea Shepherd, presenti sul posto per monitorare la crudele pesca. Proprio in questi giorni, la stessa organizzazione di tutela della fauna marina aveva diramato la triste sorte di un branco di 300 delfini, imprigionato dalle reti, in attesa della selezione dei pescatori. Infatti, gli esemplari cacciati vengono poi smistati tra quelli destinati alla macellazione e quelli alla vendita agli acquari o per gli spettacoli d’intrattenimento. Un pescatore che addestra un delfino, può guadagnare fino a 100mila dollari.
In questo scenario, non mancano storie strazianti di madri separate dai loro cuccioli, uccisi davanti al loro sguardo. Il delfino è una specie che vive in branco, una famiglia estesa di almeno una quindicina di esemplari compresi i genitori, i parenti, gli zii e cugini. In tal senso, possiamo solo immaginare cosa possa significare per questi esemplari restare separati dalla loro famiglia.
Gli attivisti che hanno documentato l’imponente caccia in corso a Taiji, hanno riferito che un esemplare è riuscito a fuggire dalla rete di contenimento. Tuttavia, una volta all’esterno della prigione, il delfino si è trovato separato dalla sua famiglia ed è pertanto rimasto nelle vicinanze, senza allontanarsi dalla barriera.
“Abbiamo notato un delfino che era sfuggito alla rete che crea una barriera per impedire ai delfini di andarsene”, scrive Sea Shepherd, ricordando che “i delfini sono incredibilmente legati tra di loro sul piano sociale e non lasceranno mai il loro branco. Per questo, anche se quell’esemplare è riuscito a scappare, per il legame che ha con la sua famiglia, non è riuscito ad allontanarsi dal pericolo”.
Una delle tante storie crudeli raccontate da chi si batte per il divieto di questa caccia perpetrata unicamente per il denaro. Una vera e propria mattanza che si consuma davanti agli occhi degli altri membri della famiglia: i delfini vengono uccisi nella baia a turno davanti allo sguardo del loro branco, condannato a morte. Ci sono casi in cui addirittura una madre ha cercato di proteggere il proprio cucciolo dai pescatori. Di certo si tratta di un’attività riprovevole che oltre alle torture inflitte agli animali che muoiono dopo una lenta e atroce sofferenza, crea dei traumi e delle ferite anche negli esemplari che si sono salvati o che sono destinati agli acquari.
“Questi sono dei traumi che avranno per tutta la vita. Si tratta di una specie molto consapevole di sé, proprio come gli umani e sanno esattamente cosa sta succedendo intorno a loro. Hanno dei legami famigliari molto stretti”, ha dichiarato Heather Rally, veterinario esperto in animali marini.
Molti esemplari sopravvissuti, sottolinea il veterinario, riportano delle patologie anche gravi, come ulcere allo stomaco, mentre ci sono delfini che muoiono per la paura o per il dolore.
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