Gli elefanti sono vittime di bracconaggio, di maltrattamenti e di sfruttamento. Ci sono molti luoghi creati per tutelare questi animali in Thailandia, India e Africa ma secondo alcune stime recenti, ogni anno vengono uccisi 50 mila esemplari. Un dato che nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione e di prevenzione stenta a diminuire tanto che tra il 2012 e il 2013 è stato ucciso il 65% degli elefanti africani e nel 2013 è stato registrato il sequestro record di ben 45 tonnellate di avorio. Un giro di affari voluminoso fatto di criminalità organizzata e corruzione. In base alla filiera, la Cina è il principale importatore. Non a caso, il 70% delle zanne, arriva a Pechino, dove viene trasformato in bacchette, gioielli, pettini e tazze e sempre in Cina, l’avorio può costare fino a 7.000 dollari al chilo.
Per arginare questo fenomeno sono stati avviati dei tavoli d’incontri e trattative sul piano internazionale tra i paesi più colpiti da questo fenomeno. Al contempo, un recente studio condotto dal dottor Samuel Wasser dell’Università di Washington, ha tentato di circoscrivere le aree più calde, sperimentando una nuova analisi che si basa sul Dna. Ovvero, secondo il professore Wasser, gli elefanti essendo degli animali molto socievoli in una medesima area vi saranno molti esemplari con codici genetici simili. L’idea sarà quella di creare delle mappe della diversità genetica in Africa, in modo da concentrare in alcune aree gli sforzi per combattere il bracconaggio.
In questo scenario, tra i vari rifugi e centri che operano in Africa, vi è il David Sheldrick Wildlife Trust (DSWT ) in Kenya, attivo anche in Africa dell’est. Lo scorso 23 giugno, il DSWT ha condiviso una fotografia straziante di un piccolo elefante vittima di bracconaggio e rimasto orfano. Il piccolo esemplare di circa 15 mesi che è stato chiamato Simotua, è stato salvato grazie ad una segnalazione, nella foresta di Rumuruti nel West Laikipia e presentava numerose ferite su tutto il corpo, tra cui un taglio provocato da una lancia sulla fronte, ferite alle gambe provocate da lacci nonché traumi psicologici ed emotivi.
Il centro ha condiviso la fotografia auspicando nel sostegno di numerose persone per poter continuare ad aiutare questi esemplari a rischio estinzione e ricordando che il coraggio del piccolo Simotua deve essere un esempio per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crudeltà del commercio dell’avorio e le conseguenze sugli elefanti.
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