E’ stata finalmente messa la parola ‘fine’ alla triste vicenda di Green Hill, almeno per quanto riguarda il filone principale dell’inchiesta. Infatti, per ieri era fissato il processo in Cassazione nei confronti dei vertici dell’allevamento di beagle destinati alla vivisezione. La vicenda era venuta alla luce nell’estate 2012. L’allevamento che si trovava a Montichiari in provincia di Brescia venne quindi chiuso. La Cassazione ha così emesso la sua sentenza.
La Suprema Corte ha avallato le scelte prese nei due precedenti gradi di giudizio: nel processo d’appello, arrivato a sentenza nel febbraio 2016, vennero confermate le condanne di primo grado nei confronti del veterinario Renzo Graziosi e del co-gestore di “Green Hill 2001” Ghislane Rondot, condannati a 1 anno e 6 mesi e del direttore dell’allevamento, Roberto Bravi. Quest’ultimo venne condannato ad un anno di carcere e al risarcimento delle spese. Tutti e tre erano accusati di maltrattamento e di uccisione di animali (articoli 544bis e 544ter del Codice penale).
La soddisfazione della pubblica accusa
Soddisfatto il sostituto procuratore Ambrogio Cassiani, che cinque anni fa avviò l’inchiesta: “È stata una battaglia culturale prima che processuale dall’esito per nulla scontato. Il processo Green Hill non ha solo accertato condotte penalmente rilevanti, ma è stata l’affermazione di principi di civiltà”. Secondo le accuse, nell’allevamento si praticava “l’eutanasia in modo disinvolto, preferendo sopprimere i cani piuttosto che curarli”. Si trattava però del filone principale del processo. Resta aperto il secondo filone dell’inchiesta, con il processo tuttora in corso. Il 22 novembre si tornerà in aula: alla sbarra ci sono altri dipendenti di Green Hill. Si tratta di due veterinari dell’Ats e tre ex dipendenti dell’allevamento di cani Beagle.
Esulta la Lav, parte civile nel processo, che spiega come sia stato smantellato il teorema del cane-prodotto “da laboratorio”. Questa sentenza – scrivono – mette “il nostro Paese in una posizione di assoluta avanguardia, orientandolo al rispetto delle esigenze etologiche anche in cani allevati e destinati ad uso sperimentale”. In pratica, il “maltrattamento non è giustificabile neppure in un contesto produttivo di potenziale elevata sofferenza come un allevamento di cani per la sperimentazione”. La Lav conclude: “L’Italia compie un vero salto in avanti nella tutela giuridica degli animali”. Il presidente di Enpa Milano, Ermanno Giudici, ha invece commentato: “Quando le indagini sono fatte bene e il pubblico ministero si convince gli animali hanno una tutela, nei limiti che purtroppo le leggi hanno”
GM