Beagle vivisezionati a Green Hill, l’ultima parola alla Cassazione

Foto dell'autore

By Gabriele

News

(Dan Kitwood/Getty Images)

Sta per essere messa probabilmente la parola ‘fine’ alla triste vicenda di Green Hill, almeno per quanto riguarda il filone principale dell’inchiesta. Infatti, è stato fissato per il 3 ottobre il processo in Cassazione nei confronti dei vertici dell’allevamento di beagle destinati alla vivisezione, venuto alla luce e quindi chiuso a Montichiari in provincia di Brescia nell’estate 2012.

Nel processo d’appello, arrivato a sentenza nel febbraio 2016, vennero confermate le condanne di primo grado nei confronti del veterinario Renzo Graziosi e del co-gestore di “Green Hill 2001” Ghislane Rondot, condannati a 1 anno e 6 mesi e del direttore dell’allevamento, Roberto Bravi, ad un anno di carcere e al risarcimento delle spese. Resta poi aperto il secondo filone dell’inchiesta, con il processo tuttora in corso.

Nei mesi scorsi, la multinazionale americana Marshall, proprietaria di Green Hill, aveva deciso di chiudere l’allevamento di beagle in via definitiva. Infatti, la direzione della multinazionale ha riferito che l’azienda è stata danneggiata dal “recepimento restrittivo da parte dell’Italia della direttiva europea sulla sperimentazione animale” e dalle “limitazioni che, seguendo la spinta animalista, sono state introdotte con il Decreto Legislativo 26/2014 all’utilizzo degli animali per scopi scientifici rispetto a quanto viene disposto dalla Direttiva 2010/63/EU, al punto che la Comunità Europea ha avviato una procedura di infrazione contro il nostro Paese”.

In queste ore, arriva una nota di Green Hill, che sottolinea: “Green Hill, rispettando il lavoro della magistratura a cui ribadisce totale fiducia, conferma l’estraneità alle accuse che, si ricorda, non fanno riferimento a maltrattamenti comunemente intesi come hanno volutamente fatto intendere alcune campagne animaliste, ma riguardano comportamenti e azioni messe in essere non conformi alle caratteristiche etologiche dei cani di razza beagle”.

I vertici dell’allevamento di Beagle insistono e “sottolineano che il processo è stato fin dalle fasi iniziali fortemente influenzato da una campagna animalista ingiustamente accanita che in realtà intende vedere condannata l’azienda non per i metodi di allevamento, ma piuttosto per le finalità di quest’ultimo e non ne considera la necessità per la ricerca medico-scientifica indispensabile per il benessere e la cura non solo della specie umana, ma anche degli stessi animali”.

Infine ricordano come “al di là della decisione della Cassazione, Marshall ha dovuto interrompere gli investimenti in Italia e mettere in vendita l’allevamento di Green Hill sospendendone l’attività a causa del recepimento restrittivo da parte dell’Italia della direttiva europea sulla sperimentazione animale”.

Gestione cookie