Siamo a Canicattì, in provincia di Agrigento, dove opera una giovane volontaria, Federica Anzaldi. L’abbiamo conosciuta per un episodio tragico, quello del ritrovamento di un cane impiccato, lungo un sentiero di campagna e recentemente l’abbiamo interpellata dopo il caso di Nagan, un bellissimo pit bull, trovato in condizioni pietose, pelle ed ossa con diverse ferite, riconducibili ai combattimenti, che la Anzaldi sta ancora provvedendo a curare. Sembra tutto così scontato. Ovvero che, in assenza di istituzioni, in assenza di un’educazione e di una cultura alla sensibilità, ci debbano essere sempre delle persone, le solite, che si devono sacrificare, lasciate sole, a combattere contro i mulini a vento. Dare voce agli innocenti, a chi nel silenzio della cronaca, nelle chiacchiere di paese viene additato come persona “strana” solo perché pensa che la vita di un animale sia importante, è quasi un dovere da parte di Amoreaquattrozampe. E così, la Anzaldi ha risposto gentilmente alle nostre domande, raccontandoci di un mondo quello dei volontari che, in Sicilia, si trovano soli, si espongono a minacce, sacrificano il loro stipendio, il loro tempo libero, la loro vita intima e privata, ad ogni ora del giorno, della notte, per quello che molti considerano un “animale”, ma che loro considerano una vita preziosa da difendere.
Cosa fa nella sua provincia?
“Siamo solo io ed un’altra ragazza sul territorio. Assieme abbiamo investito per creare un rifugio in un nostro terreno privato. Abbiamo fatto i recinti e i box per accogliere i cani. In tutto ospitiamo una trentina di esemplari senza che nessuno ci aiuti. Poche persone ci fanno delle donazioni e da sole provvediamo alle spese veterinarie quando troviamo un animale, abbiamo sempre i debiti con l’ambulatorio. Vacciniamo, sverminiamo e sterilizziamo a spese nostre oltre che a mantenere i cani al rifugio e i randagi che sono per strada. C’è molta ignoranza dalle nostre parti, non c’è la cultura del cane come membro della famiglia”.
Abbiamo avuto modo di conoscerla diversi mesi fa, per una storia straziante di un cane impiccato e per un video denuncia che aveva diffuso in rete, puntando il dito contro le istituzioni. E’ cambiato qualcosa da allora?
“Purtroppo non è cambiato nulla: le istituzioni fanno finta di nulla come sempre. Qui a Canicattì abbiamo solo un canile sanitario con quattro box. La polizia locale quando troviamo un cane ci dice di lasciarlo per strada. Purtroppo non c’è una politica che prende a cuore il destino degli animali. Non ci sono campagne di sterilizzazione e non c’è monitoraggio. Ogni giorno ci esponiamo personalmente come volontari: ci chiamano a tutte le ore e in alcuni casi quando non riusciamo a fare qualcosa ci criticano, come se fosse dovuto. Laddove mancano le istituzioni, le persone si rivolgono a noi come se le dovessimo sostituire. Ma nessuno ci aiuta: segnalano i casi e poi se ne lavano le mani. Ci lasciano da soli a provvedere a tutto. A noi piange il cuore non poter intervenire ma a volte non ce la facciamo e siamo disperate per questo”.
Ci racconti della sua provincia, il randagismo e le problematiche che ci sono.
“La situazione è in emergenza nella provincia di Agrigento come nelle altre province in Sicilia. Il problema è che c’è tanta ignoranza: le persone prendono i cani perché sono di razza, perché servono a fare la guardia, perché devono essere belli o vanno di moda senza considerare che magari un pit bull ad esempio è una razza particolare non adatta a tutti. Li prendono e li chiudono nei box o li legano a catena. Non esiste la cultura di portare il cane a spasso, al guinzaglio, per strada. Ti guardano come un extraterrestre. Inoltre, spesso non possiamo denunciare i soprusi, maltrattamenti o abbandoni perché riceviamo delle minacce. Alla volontaria con la quale collaboro hanno avvelenato tre cani, solo perché aveva avuto il coraggio di denunciare un cacciatore che aveva fatto morire il proprio cane. Molte volte sappiamo chi sono i colpevoli di un gesto atroce ma non possiamo denunciarli per paura. Riceviamo minacce a livello personale costantemente. Per il cane impiccato che abbiamo ritrovato a dicembre 2016, sapevamo chi è stato l’autore: è stata una vendetta tra vicini. Ma nessuno ha potuto denunciare il fatto a causa di una mentalità mafiosa”.
Nella sua esperienza ha incontrato persone che l’hanno aiutata? La riposta dei social e della rete ad esempio?
“La cosa peggiore è che siamo sole davanti ad un sistema che non c’è possibilità di recuperare. Poche persone ci aiutano. Noi interveniamo ad ogni ora del giorno e della notte. Le persone ci chiamano perché non ci sono le istituzioni. Provvediamo a tutto. Recuperiamo il cane, paghiamo le spese per il suo recupero e poi cerchiamo adozione. Ovviamente al Nord, non in Sicilia o in Calabria. In molti casi, abbiamo sostenuto anche le spese per il viaggio dell’animale, perché ci sono persone che adottano ma non hanno i soldi per il trasporto. Facciamo appelli, chiediamo aiuto ma difficilmente c’è ci arrivano dei contributi e qui ci siamo solo io e l’altra volontaria. Siamo lasciate sole”.
Qual è stata l’esperienza peggiore.
“Ce ne sono moltissime. Ricordo nel 2016 quando abbiamo ritrovato un beagle in mezzo ad un campo. Era stato abbandonato da un cacciatore. Il cane era in condizioni pietose: era quasi morto, magrissimo, con la leishmaniosi. Abbiamo fatto di tutto per quel cane, ma dopo quattro giorni di agonia è morto. Purtroppo sono casi all’ordine del giorno come ad esempio il cane che abbiamo trovato impiccato. A volte non possiamo fare nulla. I questi giorni siamo venute a conoscenza di due cani tenuti a catena, in condizioni gravi. Non possiamo intervenire perché abbiamo ricevuto delle minacce. Queste sono le cose peggiori”.
Si è fatta un’idea di cosa ci vorrebbe per cambiare le cose?
“La Sicilia, rispetto ad altre Regioni, è in una situazione bruttissima. Ci sono volontari che operano in tutte le province e che si trovano di fronte agli stessi problemi. A Palermo, la situazione è tragica, essendo una grande città ci sono emergenze continue. Ma ci sono delle associazioni che riescono a ricevere delle donazioni e a fare qualcosa in più. Noi, nella provincia di Agrigento non riusciamo a ricevere degli aiuti. Le istituzioni sono assenti e spesso, anche in alcuni casi abbiamo timore per i cani. Non essendoci un canile a Canicattì non sappiamo dove portano l’animale che magari abbiamo soccorso e che fine fa. Per questo, spesso, operiamo privatamente, cerchiamo di gestire la situazione con il rifugio che abbiamo fatto da zero con i nostri sacrifici. Addirittura, l’altra volontaria ha perso il lavoro e ora dobbiamo continuare a mantenere una trentina di cani, oltre ai nostri che abbiamo a casa con noi e a rispondere alle emergenze. Non abbiamo creato un’associazione perché non ci sono persone che si vogliono prendere l’impegno di occuparsi dei cani. Cerchiamo di andare avanti con le nostre forze ma è difficile e senza di noi la situazione sarebbe drammatica”.
Che appello vorrebbe lanciare?
“Troviamo cucciolate di ogni tipo, meticci, cani di razza abbandonati ogni giorno. L’appello è quello che le persone adottino cani non di razza. Chiediamo aiuto a tutti quanti, ad inviarci donazioni quando vedono gli appelli, perché siamo sole io e Angelica. Abbiamo costruito da zero il rifugio: abbiamo recintato e fatto le pedane in cemento. Tutto da sole. Affrontiamo le spese mediche e veterinarie ma abbiamo bisogno di aiuto da parte delle persone per poter mantenere i trenta cani che abbiamo in stallo e poter continuare a salvarne altri e ad aiutare i randagi. Non sappiamo più come andare avanti e siamo in difficoltà. Ogni giorno dobbiamo combattere contro certe mentalità e per noi è terribile. Abbiamo bisogno di sentire che ci sono persone vicine a noi”.
Per dare un contributo e un sostengo a queste giovani volontarie, è possibile consultare gli appelli sulle pagine Facebook delle due giovani donne di Canicattì, mettersi in contatto con loro e aiutarle con delle donazioni. Ecco le pagine, clicca Anzaldi oppure per informazioni cell 3204507488