La nota organizzazione animalista People for the Ethical Treatment of Animals, con l’acronimo PETA, è di nuovo nella bufera mediatica dopo che un’associazione Center for Consumer Freedom ha condotto un rapporto con il quale ha poi denunciato Peta per la soppressione di un migliaio di animali tra cani e gatti, nel Norfolk, in Virginia.
In un comunicato la Center for Consumer Freedom scrive che Peta è stata responsabile dell’eutanasia di migliaia di esemplari che erano in condizioni di essere adottati.
“Il disprezzo di Peta per la vita degli animali è vergognoso”, ha dichiarato Will Coggin, direttore del settore ricerca di Center for Consumer Freedom, accusando l’organizzazione di uccidere ogni anno un migliaio di esemplari.
“Sarebbe stato meglio che Peta non si fosse mai occupata di quegli animali in modo che almeno avessero la possibilità di salvarsi”, ha rilanciato Coggin ai microfoni della mittente americana Fox News.
Nel 2016, la nota organizzazione animalista avrebbe soppresso 1.411 esemplari tra cani e gatti. In base ai dati ufficili, di media i canili in Virginia sopprimano il 16,9% degli animali raccolti, la percentuale sale esponenzialmente nei rifugi Peta al 72% degli esemplari. Peta nel 2016 avrebbe accolto 2007 animali in Virginia, tra i quali sono ne sono stati dati in adozione a 57 famiglie. In totale, l’organizzazione avrebbe soppresso ben 557 cani, 854 cani e 17 animali di affezione.
Dal 1998, Peta avrebbe soppresso oltre 36 mila animali. Tra i casi più eclatanti denunciati dalle associazioni animaliste, la vicenda accaduto nel novembre del 2016, di un dolce Chihuahua, recuperato da due impiegati di Peta per poi sopprimerlo a distanza di pochi giorni, senza lasciare la possibilità ai proprietari di ritrovare il loro cane. Le associazioni si sono chieste che differenza ci sia con i canili dove in Virginia i cani vengono soppressi dopo 5 giorni di permanenza. Una triste realtà per chi vorrebbe vedere abolita l’eutanasia nei canili.
Un tasso elevatissimo per gli animalisti indignati e per i quali Peta non si dovrebbe definire “rifugio”, in quanto la priorità dovrebbe essere quella di ricollocare gli animali e non di sopprimerli.
Sul caso PETA, già nota in passato per casi simili, intervenne nel 2015, un senatore della Virginia, William M. Stanley Jr. che sostenne “ipocrite le posizioni di Peta, accusando i suoi rifugi di essere un luogo di morte”.
Ovviamente, la nota organizzazione, promotrice di numerose campagne animalisti sul piano internazionale, ha respinto le accuse di aver soppresso oltre 1400 animali, dichiarando in una nota ufficiale che: “Peta si occupa di squadre di soccorso che operano 24h su 24h, sette giorni su sette, per intervenire in casi di maltrattamenti e recupero degli animali. Si prende cura di esemplari aggressivi, anziani, malati o feriti, che siano domestici o selvatici e che spesso non sono adottabili o sono stati allontanati dai rifugi o canili”.
La stessa Peta ha poi denunciato il sistema “no kill” promosso da molte associazioni e attivisti negli Stati Uniti dove vige l’eutanasia nei canili e che cercano di riscattare gli animali per evitare loro il canile e una morte certa dopo un determinato periodo in cui non vengono adottati.
“Per dare un rifugio ad ogni animale in difficoltà - scrive Peta- devono essere soppressi gli esemplari che non sono adottabili o che hanno patologie incurabili. L’alternativa sarebbe offrire all’animale una vita non dignitosa o dare in adozione un animale che potrebbe rivelarsi un grave pericolo”.