Una ricerca condotta su 214 specie animali dallo scienziato Gordon Love dell’Università Durham nel Regno Unito, in collaborazione con lo psicologo Martin Banks e l’Università Berkeley in California, ha messo in correlazione la forma della pupilla con il comportamento dell’animale.
Ovvero, attraverso la pupilla è stato possibile stabilire se la specie è una preda o un predatore. La ricerca ha portato alla creazione di un modello grafico delle differenti forme di pupille, arrivando alla conclusione che la forma della pupilla e il modo in cui la luce entra nell’occhio sono collegate alla suddivisione delle specie tra predatore o preda.
Lo studio, pubblicato sulla rivista specializzata Science Advances, ha confermato che gli erbivori come i cervi o le zebre hanno le pupille orizzontali a differenza di quelle dei carnivori come i ghepardi, coyote, gatti, volpi o serpenti che nell’arco del giorno hanno le pupille circolari che di notte, diventano verticali.
In base a questi dati, i ricercatori hanno sviluppato un modello grafico per capire le proprietà e il funzionamento delle diverse forme di pupille: per cui quelle orizzontali concedono una maggiore vista panoramica dell’ambiente alle prede, aiutandole ad individuare un eventuale predatore e a prevenire vie di fuga in caso di un attacco.
Al contrario, sottolineano i ricercatori, le pupille orizzontali permettono alla luce di entrare solo nelle direzioni necessarie per lo scopo dei predatori nel luogo in cui si trovano. L’allungamento orizzontale ottimizzerebbe l’efficacia della luce, concedendo all’animale una migliore vista del terreno in cui si trova.
Tra le altre tipologie, vi sono anche le specie, come le pecore, capre, cavalli, alci e cervi dalla coda bianca, che mentre pascolano sono in grado di ruotare i loro occhi mentre si alimentano. Questo permette all’animale di mantenere una visione orizzontale e di avere una panoramica di quel che accade tutto attorno.
Quando i ricercatori hanno studiato l’effetto della pupilla verticale hanno invece evidenziato come sia ottimale per tendere un’imboscata, permettendo al predatori di preparare un agguato con molta precisione e misurazione della distanza dalla preda.
Un altro ricercatore, Ronald Kröger, biologo dell’Università di Lund in Svezia, studioso delle proprietà ottiche degli occhi degli animali, ha criticato i risultati della ricerca, ricordando che “ci sono innumerevoli esempi contrari” come la tigre che non avrebbe le pupille rotonde.
Tuttavia, l’autore della ricerca ha replicato che questi fattori potrebbero variare in base all’altezza dell’animale: “Quando gli animali guardano il terreno, la profondità di campo o la messa a fuoco dell’occhio potrebbero dipendere dall’altezza dell’animale”. Secondo Gordon Love gli “animali più alti hanno meno bisogno di sfocatura per lo stesso campo di visivo. Per cui gli animali domestici e selvatici più piccoli come i gatti hanno pupille verticali per ridurre la sfocatura, mentre i grandi felini come i leoni e le tigri, essendo più alti non ne hanno bisogno”.